La Grande Carestia in Irlanda (1845-1851)
An gorta mór (‘La grande carestia’, in irlandese) racconta la tragedia, ancora poco nota in Italia, dei contadini irlandesi – si dice, un milione – morti per fame e malattia tra il 1845 e il 1851, dopo che il raccolto di patate, la loro principale fonte di nutrimento, andò distrutto in tutta l’isola in seguito all’arrivo e alla diffusione della peronospora.
Il conflitto fra modernità e intolleranza, tra fanatismo e progresso, tra centralismo e localismo, nella Spagna ottocentesca, attraverso la scrittura raffinata di un maestro del realismo: tra pittura d’ambiente e rappresentazione simbolica, una lettura attenta di fenomeni ricorrenti nella storia europea, sullo sfondo di una intensa e disperata passione amorosa.
VINCITORE DEL PREMIO NAZIONALE PER TRADUZIONI DA LINGUE SLAVE POLSKI KOT – III edizione, 2017
E io vidi un cavallo giallastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte; e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra. (Ap. 6,8)
Simile al quarto cavaliere dell’Apocalisse, una legione di fanatici, burocrati e guardie, agli inizi degli anni 1930, condannava alla morte per fame un innumerevole numero – dicono almeno due milioni – di contadini ucraini che non si erano piegati alla collettivizzazione forzata.
È un capitolo della secolare guerra ai contadini – che sotto molte forme non è mai terminata – poco noto in Italia: Vasyl’ lo racconta in questo romanzo, attraverso la storia di una famiglia.
La storia di Kawa, mto di fondazione del popolo Kurdo, racconta del malvagio re Zohak, il primo tiranno, che mentì sul mondo per ridurlo alla sua volontà e ogni giorno nutriva i serpenti che allignavano sulle sue spalle col cervello di due giovani, e del fabbro Kawa, al quale Zohak aveva ucciso tredici figli, che guidò la rivolta contro il tiranno. Il libro è la trascrizione letteraria del mito finora tramandato solo a voce tra i Kurdi, generazione dopo generazione, da un tempo che precede l’orizzonte della memoria collettiva.
Una raccolta di racconti popolari trasmessi per generazioni, da bocca a orecchio, nelle terre dell’Anatolia prevalentemente abitate dai Kurdi: questo è tutto ciò che resta dall’immane mole di materiale etnografico raccolta da Necat çetin negli anni 1990, villaggio dopo villaggio, andata irrimediabilmente perduta.
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