In che modo la scuola ha formato e condizionato il nostro modo di essere e il mondo in cui viviamo? Quanto, nel bene e nel male, ha pesato nella vita di ciascuno di noi? Cosa ci ha dato? Cosa ci ha tolto? Riusciamo ancora a pensare un’educazione distinta dalla scuola o che, addirittura, ne possa fare a meno?
Cinquant’anni dopo le riflessioni di Ivan Illich sulla descolarizzazione, Discola continua a pensarla possibile.
Questo libro è dedicato a tutte le bambine e i bambini, ed è direttamente rivolto alle educatrici, alle insegnanti, ma soprattutto ai genitori e a chiunque voglia riflettere sul senso della scuola.
Sulle parole un po’ fingiamo di capirci, tanto poi ciascuno, nel segreto, le declina come vuole oppure, ritenendole sufficientemente chiare e comprensibili, rinuncia a pesarle e si lascia guidare dall’abitudine. Retrocedere fino alla loro radice può aiutare a recuperarne un contorno più definito e un significato meno incerto, per lo meno un significato originario, ricavato dopo averle sezionate, sbucciate, liberate dalla patina (o crosta) di significati e valori sedimentati nel tempo. E allora si scopre che dietro il sapere c’è il sale, dietro l’amore le stelle, dietro la cultura l’aratro, dietro il sacro il recinto, e che eterno non significa ciò che non ha inizio né fine, ma qualcosa che sappiamo tutti…
E grazie? Cosa vuole dire grazie? E madre?
Questo libro parte da una tesi molto semplice: avere ragione non significa dire la verità. Ma com’è possibile affermare una cosa del genere? In effetti noi siamo talmente abituati ad associare quei due termini che ci sembra quasi assurdo poterli separare.
Eppure è proprio così, chi ha ragione, non per questo, dice la verità! Ma quindi la verità non esiste? Davvero non si può dire? C’è, forse, un modo per dirla? Ma cos’è, allora, la verità?
Cosa si può fare per recuperare il dialogo autentico con i figli? Quali sono le parole che aprono ad una relazione di amicizia tra genitori e figli? È la parola che fa la relazione. Il dialogo vivo, continuo e sincero tra genitori e figli è qualcosa che richiede esercizio. Le esperienze di dialogo raccontate nel libro intendono aiutare il lettore a trovare le proprie parole nella relazione coi figli, a gestire il proprio potere e a comprendere come la responsabilità prima del genitore non è educare, ma ‘fare l’anima’.
C’è un modo simbolico – dunque unificante, integro, realista – di intendere il mondo e la vita, un modo che dà forma alle ricerche e agli studi qui proposti, dedicati ai linguaggi del mondo rurale, allo spartiacque della modernità, al significato profondo di alcune parole centrali (cultura, simbolo, sacro), alla bellezza che illumina la verità delle cose, più in generale a quell’intima unità che fa venire meno le classiche e logore separazioni che, nel tempo, hanno prodotto la precedenza e oggi il sopravvento dell’astrazione sulla concretezza, della fantasia sull’immaginazione.
Qual è il futuro della nostra capacità di generare? Cosa succederà a quelle funzioni fisiologiche che tralasciamo di impiegare? Poiché sta cambiando il modo di fare nascere i bambini, dobbiamo, di conseguenza, attenderci un qualche mutamento della nostra specie? Le acquisizioni della scienza in rapido sviluppo sapranno donarci una nuova consapevolezza?
Con competenza e attenzione interdisciplinare, Michel Odent, chirurgo e ostetrico di fama mondiale, prova a mettere a fuoco queste domande, partendo in modo provocatorio da un semplice dubbio: abbiamo ancora bisogno delle levatrici?
E ancora: per quanto tempo potremo continuare a eludere le leggi che guidano la selezione naturale? Saremo capaci di riconoscere le giuste risposte prima di imboccare la strada senza ritorno verso l’estinzione?
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